La Rivista Medica Italiana Online Anno II • N° 2 • 2013 • Articolo 5

 

IL CONCETTO DI “GOVERNANCE
EPISTEMOLOGICA” NELL'APPROCCIO ALLA CRONICITÀ

 

VISCA Giorgio
Direttore Nazionale Settore Specialistico Cure Palliative SIFoP


Riassunto

Il richiamo all'autonomia ed alla partecipazione degli individui sancito formalmente dalla
Dichiarazione di Alma Ata ha riportato il paziente al centro della scena medica ed assistenziale ed ha aperto le porte ai principi della soggettività e della qualità della vita, incrinando parte delle certezze del cosiddetto modello bio-medico.


L'apertura ad un mutamento epistemologico della medicina, ossia alla critica della validità
assoluta del modello biomedico riduzionistico nel campo della gestione della cronicità, espone alla possibilità di rinunciare ad alcune certezze della Tekne e di aprire la strada alla dimensione dell'incertezza e del dubbio, derogando alla necessità della “spiegazione” e schiudendo le porte alla fenomenologia.


Paradigmatico in tal senso è il contesto della Medicina Palliativa per i malati alla fine della vita, in cui spesso predomina l'incertezza o, meglio, il dilemma epistemologico che la certezza della morte è in grado di porre al medico. In questo dominio concetti come “benessere” e “qualità della vita” rivelano il loro imbarazzante peso allo “scienziato” che è in ogni medico.


Nel campo della cronicità e, maggiormente in quello della Medicina Palliativa, la sfida fra
dimensione della soggettività e dell'oggettività, fra la quantità e la qualità della vita, rendono necessaria da parte del medico la capacità di saper modulare, unitamente al paziente, l'approccio epistemologico all'assistenza, ossia, in altri termini, di possedere una governance epistemologica che permetta di orientare correttamente il percorso di ogni singola assistenza


Parole chiave


Governance, Epistemologia, Cronicità


IL TERMINE “GOVERNANCE” IN AMBITO SANITARIO

L'anglicismo “governance” è entrato a far parte della terminologia corrente del mondo
aziendalistico-imprenditoriale internazionale a partire dall'inizio degli anni '90 del XX° secolo. Come definito dalla Treccani “a partire dal linguaggio aziendale, in cui indica maniera, stile o sistema di conduzione e di direzione di un'impresa (…), il significato del sostantivo si è rapidamente allargato all'accezione di insieme dei princìpi, dei modi, delle procedure per la gestione e il governo di società, enti, istituzioni, o fenomeni complessi, dalle rilevanti ricadute sociali. [1]


L'origine etimologica della parola governance risale al verbo greco kubernân che significa
letteralmente guidare, pilotare una nave o un carro e venne usato per la prima volta in modo metaforico da Platone per indicare l'arte di guidare o governare gli uomini, l'arte dei timonieri che non remano, ma indicano la rotta. Dal greco è successivamente derivato il termine latino gubernare e gubernantia con gli stessi significati.


Il termine antico francese gouvernance, venne utilizzato dal XIII° secolo come equivalente di “governo” e quindi, a partire dal 1478, per indicare alcuni territori del nord della Francia dotati di un particolare statuto amministrativo.


A partire dal XIV° secolo il termine entrò nella lingua inglese facendo nascere il termine
governance, cadendo successivamente in disuso fino agli anni Novanta del Novecento, periodo in cui venne reintrodotto da parte di economisti e politologi anglosassoni e da parte di alcune istituzioni internazionali (ONU, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) per indicare “l'arte o la maniera di governare”, anche secondo una nuova connotazione di una modalità di gestione degli affari pubblici fondata sulla partecipazione della società civile a tutti i livelli. [2] Mutuato dal mondo imprenditoriale, sull'onda del processo internazionale di aziendalizzazione dei sistemi sanitari, il termine “governance” è entrato nel vocabolario comune del mondo sanitario internazionale a partire dal 1998 con l'introduzione del concetto di “clinical governance” da parte del Department of Health del NHS britannico [3], concetto di ormai di larga diffusione anche all'interno del panorama sanitario italiano e più volte presente nei principali documenti di programmazione ed indirizzo sanitario a livello nazionale e regionale.


La “clinical governance” è intesa come una nuova modalità di gestione dei servizi sanitari
attraverso la quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei loro servizi e garantiscono elevati standard assistenziali creando le condizioni ottimali nelle quali viene favorita l'eccellenza clinica [4].


La governance clinica si connota quindi come una strategia gestionale intesa a rendere ogni azione (clinica, assistenziale, organizzativa, economico-finanziaria, gestionale) coerente e finalizzata alla qualità dell'assistenza, mettendo in grado l'organizzazione di evolvere attraverso meccanismi di feed-back che le permettano di apprendere continuamente dalle proprie esperienze. (Es. gestione del rischio clinico, audit clinici a seguito di implementazione di linee guida, innovazione tecnologica ed organizzativa). [5]


LE NECESSITÀ DI GOVERNANCE E LA TRANSIZIONE EPIDEMIOLOGICA

Oltre al processo di aziendalizzazione in ambito sanitario, fra gli elementi che hanno
principalmente reso necessario un cambiamento della strategia gestionale nei sistemi sanitari, ossia il passaggio da un sistema di “governo” ad una sistema di “governance” fondato sulla partecipazione e sulla parallela necessità di “mantenere la rotta”, è stata senza dubbio anche la progressiva trasformazione del bisogno assistenziale verso il paradigma della cronicità.

Questa infatti se da un lato ha allargato la numerosità dei soggetti interessati, dall'altro ne ha mutato profondamente le necessità, rendendo obsolete o inefficaci le precedenti modalità gestionali dei sistemi sanitari finalizzate all'organizzazione di una risposta assistenziale per malattie che interessavano un minor numero di persone e per un tempo più limitato, aprendo alla dimensione della complessità il mondo dell'assistenza sanitaria.


Questa progressiva evoluzione verso la prevalenza di malattie croniche e degenerative è da tempo nota nell'ambito della Sanità Pubblica come “transizione epidemiologica”.


Secondo la teoria della “transizione epidemiologica”, proposta per la prima volta da Abdel Omran nel 1971, tutte le società affrontano nel corso del processo di modernizzazione tre “età”: quella delle pestilenze e delle carestie, quella della remissione delle pandemie ed infine l'età delle malattie degenerative ed antropogeniche, con la progressiva riduzione del carico di mortalità e morbosità dovuto alle malattie infettive e la prevalenza della mortalità attribuibile alle malattie cronico-degenerative ed agli eventi traumatici. [6]


Alla base della transizione epidemiologica e del conseguente mutamento del quadro demografico e della possibilità di aggiungere anni alla vita, coesistono una serie di determinanti spesso racchiusi sinteticamente come “processo di modernizzazione”, ma che Omran stesso evidenzia come per nulla semplici da identificare. Mutamenti ecobiologici, socioeconomici, politici e culturali ed infine gli avanzamenti della medicina e delle modalità di assistenza sanitaria sono tra i macro-fattori più frequentemente richiamati nel determinismo della transizione epidemiologica, il diverso peso dei quali nell'aumento dell'aspettativa di vita e nel parallelo processo di cronicizzazione delle malattie è tuttavia da tempo oggetto di dibattito.


Il ruolo stesso dei progressi della biomedicina nel processo di riduzione della mortalità è stato in particolare oggetto del lavoro e delle analisi di Thomas McKeown che, fra il 1955 ed il 1988, si impegnò per sostenere ed argomentare la “teoria” fondata sulla necessità di ridimensionare il reale impatto della bio-medicina nell'aumento dell'aspettativa di vita rispetto al preponderante ruolo dei miglioramenti igienico-sanitari delle condizioni di vita e della nutrizione, [7] “teoria” peraltro già ben nota ad igienisti italiani come Pagliani per i quali la disponibilità di acqua, casa ed alimentazione era in grado di fare la differenza per la salute delle popolazioni [8].


DALLA TRANSIZIONE EPIDEMIOLOGICA ALLA TRANSIZIONE
ORGANIZZATIVA: LA PRIMARY HEALTH CARE

Gli interrogativi aperti nella seconda metà del XX° secolo sul reale impatto sulla salute esercitato da parte della “Medicina” indotti dall'evidenza epidemiologica furono paralleli ad un ripensamento stesso delle politiche sanitarie a livello internazionale e delle relative modalità di erogazione dell'assistenza, come testimoniato anche dalla “coraggiosa” definizione di salute dell'OMS del 1946 intesa come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”.


Esempi paradigmatici di questo processo di trasformazione furono l'avvio del modello del welfare e la nascita del National Health Service in Gran Bretagna e, principalmente, la nascita della Primary Health Care con la Conferenza di Alma Ata del 1978, con la quale la comunità internazionale (OMS ed UNICEF) riconosceva e sanciva il ruolo della Assistenza Primaria come principale strategia per ottenere un miglior livello di salute della popolazione. [9]


Fra i principi fondanti della Dichiarazione vennero già allora identificati la partecipazione e
l'autonomia degli individui e delle comunità, la promozione della salute e la prevenzione delle malattie, e la centralità dell'assistenza primaria nei sistemi sanitari secondo criteri di accessibilità, prossimità e accettabilità scientifica, economica e sociale.


Questo modello “rivoluzionario” di intendere le strategie per fare e mantenere la salute costituisce di fatto la prima formalizzazione della necessità da un lato di una maggiore attenzione ai determinanti di salute rispetto ai determinanti di malattia e dall'altro di aprire la strada ad una transizione organizzativa e strategica nelle modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria in risposta alle nuove sfide aperte dalla transizione epidemiologica.


La transizione organizzativa dei sistemi sanitari fondata sull'assistenza primaria introduce l'idea del “territorio” quale luogo principale ove fare salute ed erogare i principali interventi assistenziali. Il concetto del “territorio” è stato negli anni variamente espresso nel tentativo si evidenziare la sostanziale alterità e, conseguentemente, diversità rispetto al luogo predominante nella consueta cultura assistenziale: l'ospedale. Questa impostazione tuttavia, tradisce e marginalizza la reale essenza dell'assistenza primaria che è fondata sul paradigma della prossimità alle persone nel loro contesto sociale e familiare e che, solo in conseguenza di questo diventa territoriale.


Nonostante le cure primarie e territorialità siano diventate “parole d'ordine” reiterate in ogni documento di programmazione sanitaria a livello sia internazionale che nazionale, l'impronta cosiddetta “ospedalocentrica” dei sistemi sanitari risulta tuttavia ancor oggi prevalente, a testimonianza della natura culturale e nondimeno epistemologica della resistenza al cambiamento non solo da parte delle organizzazioni sanitarie, ma anche degli individui e delle comunità


LA GOVERNANCE EPISTEMOLOGICA

Il richiamo all'autonomia ed alla partecipazione degli individui sancito formalmente fin dalla Dichiarazione di Alma Ata ha riportato il paziente al centro della scena medica ed assistenziale ed ha aperto le porte ai principi della soggettività e della qualità della vita, incrinando parte delle certezze del cosiddetto modello bio-medico.


Come evidenziato da Sullivan “la transizione epidemiologica dalle malattie acute a quelle croniche promuove una transizione epistemologica da un'evidenza di salute e di efficacia assistenziale principalmente oggettiva ad una principalmente soggettiva. (…) La job description del medico verrà cambiata al fine di focalizzarsi sulle vite dei pazienti piuttosto che sui loro corpi” [10]


L'apertura ad un mutamento epistemologico della medicina, intesa come “l'indagine critica intorno alla struttura e ai metodi (osservazione, sperimentazione e inferenza) delle scienze, riguardo anche ai problemi del loro sviluppo e della loro interazione” [11] ossia alla critica della validità assoluta del modello biomedico riduzionistico nel campo della gestione della cronicità, espone alla possibilità di rinunciare ad alcune certezze della Tekne e di aprire la strada alla dimensione dell'incertezza e del dubbio, derogando alla necessità della “spiegazione” e schiudendo le porte alla fenomenologia.


Per quanto destabilizzante possa apparentemente sembrare, la prassi medica è tuttavia da sempre, necessariamente, connotata dalla dimensione della soggettività e dell'incertezza, pur se sublimata dalla ricerca scientifica quantitativa nella differenza fra efficacia teorica ed efficacia pratica, tanto da poter dubitare della stessa possibilità di una reale concezione epistemologica della medicina in quanto, come ricordato da Cosmacini, “la medicina non è una scienza”. [12]


Paradigmatico in tal senso è il contesto della Medicina Palliativa per i malati alla fine della vita, in cui spesso predomina l'incertezza o, meglio, il dilemma epistemologico che la certezza della morte è in grado di porre al medico. In questo dominio concetti come “benessere” e “qualità della vita” rivelano il loro imbarazzante peso allo “scienziato” che è in ogni medico.


Nel campo della cronicità e, maggiormente in quello della Medicina Palliativa, la sfida fra gli estremi del nichilismo terapeutico e dell'onnipotenza medica, fra la dimensione della soggettività e dell'oggettività, fra la quantità e la qualità della vita, rendono necessaria da parte del medico la capacità di saper modulare, unitamente al paziente, l'approccio epistemologico all'assistenza, ossia, in altri termini, di possedere una governance epistemologica che permetta di orientare correttamente il percorso di ogni singola assistenza. [13]


CONCLUSIONI

L'immagine dell'auriga che “guberna”, con e per il paziente, i cavalli delle differenti modalità di intendere la salute, la medicina, l'esistenza, concedendo a seconda del momento di prevalere ad uno o all'altro e conducendo il carro verso la strada più opportuna, rappresenta in sintesi il compito a cui è chiamato ogni professionista dell'assistenza alla cronicità.


Questa capacità di governance epistemologica è infatti, in modo più o meno consapevole, il bagaglio comune, lo strumento indispensabile, di tutti coloro che nella loro quotidianità si confrontano con la cronicità e la prossimità alle vite dei pazienti e delle loro famiglie e che ne connota la specifica competenza professionale.“Non esiste scienza privata della filosofia, al massimo può esistere una scienza dove il bagaglio filosofico è stato portato a bordo senza alcun esame preliminare. (Daniel Dennett. L'idea pericolosa di Darwin. Bollati Boringhieri, 2004.)


Bibliografia


[1]Portale Treccani. Lingua Italiana at http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/parole/delleconomia/
governance.html (acc . 23/01/2012)


[2] European Commission. Governance in the EU. A White paper. Etymology of the word governance in the different languages. (2001) at http://ec.europa.eu/governance/prepa_lb_en.htm (acc. 23/01/2013)


[3] NHS. "A first class service: Quality in the new national health service"- Londra, Department of Health, 1998


[4] Scally G, Donaldson L J, Clinical governance and the drive for quality improvement in the new NHS in England. BMJ, 4 July 1998


[5] Regione Piemonte. ARESS. Glossario, 2009


[6] Omran, A.R (2005. First published 1971), "The epidemiological transition: A theory of the epidemiology of population change", The Milbank Quarterly 83 (4): 731-57. Reprinted from The Milbank Memorial Fund Quarterly 49 (No.4, Pt.1), 1971, pp.509-538


[7] Bynum B. The McKeown Thesis. The Lancet, Volume 371, Issue 9613, Pages 644 - 645, 23 February 2008


[8] Cosmacini G. Medici nella storia d'Italia, Laterza, 1996


[9] WHO. Declaration of Alma Ata. Sept. 1978. At www.who.int/.../almaata_declaration_en.pdf - (acc. 23/01/2013)


[10] Sullivan, M. The new subjective medicine: Taking the patient's point of view on health care and health. Social Science & Medicine, Vol 56(7), Apr 2003, 1595-1604.

[11] Portale Treccani. Vocabolario. Epistemologia. At http://www.treccani.it/vocabolario/epistemologia/ (acc 23/01/2013)


[12] Cosmacini G. La medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base.
Raffaello Cortina Editore, 2008,)


[13] Visca G, The epistemological governance. Panminerva Medica; Vol. 51 - Suppl. 1 to No. 3. September 2009; p. 122

 

Corrispondenza
giorgiovisca@inwind.it